(Articolo pubblicato originariamente su Fondi&Sicav)
Il presidente della sim friulana quotata all’Euronext Growth Milan fa il punto sui risultati e le prospettive societarie e manda un messaggio di ottimismo al settore
In un settore, come quello della consulenza finanziaria, che vede una forte concentrazione di mercato nelle mani di gruppi sempre più grandi, Copernico Sim rappresenta indubbiamente un’eccezione.
È una piccola società specializzata nel risparmio, costruita inizialmente da un pugno di consulenti che hanno deciso di lavorare in piena libertà, senza manager, senza prodotti propri da collocare, senza budget prefissati, senza grandi spese strutturali che appesantiscano il bilancio e a questo modello ispiratore è rimasta fedele in questi 22 anni. Come un fiore all’occhiello Copernico Sim è totalmente indipendente da banche e assicurazioni e da tre anni è quotata sul mercato Euronext Growth Milan di Borsa Italiana e capitalizza circa 12 milioni di euro. Il fondatore e presidente di questa particolare realtà è Saverio Scelzo.
Fondi&Sicav lo ha incontrato alla vigilia del Salone del risparmio, dove la società sarà presente con uno stand e con una conferenza: “Quanti indipendenti, quanto indipendenti? E soprattutto indipendenti da chi?”
Come è andato il 2021 e come è partito il 2022?
«Il 2021 è stato l’anno migliore da sempre e abbiamo fatto un’ottima raccolta netta: siamo cresciuti anche in termini di masse gestite e siamo passati in un anno da 605 milioni di euro a 719 milioni. Siamo molto contenti anche del fatturato, che è stato di 8,7 milioni rispetto ai 7 del 2021. In pratica, continuiamo a essere in un’ottica di sviluppo e a crescere. Va inoltre tenuto presente che i nostri fatturati non sono fatti con le fee di performance, ma sono fatturati stabili. Siamo soddisfatti anche di come è iniziato il 2022, a parte il discorso sulla guerra, ovviamente».
Beh, oltre alla guerra sono cambiate diverse cose in questi mesi: l’inflazione, il mutamento di politica delle banche centrali con il rialzo dei tassi, una ripresa che non è partita come si sperava, il balzo del costo dell’energia e delle materie prime. In pratica, per chi fa il vostro lavoro non è di certo un momento facile. Oggi che cosa rispondete a un cliente che vi chiede di salvaguardare il suo patrimonio?
«Per prima cosa, bisogna togliere i risparmi dai conti correnti. Poi, da parte nostra, siamo una società che non è mai stata particolarmente aggressiva sull’azionario e, quindi, non abbiamo subito grandi perdite, tutt’altro. Inoltre, già da tempo ci siamo mossi verso fondi obbligazionari o fondi alternativi specializzati contro l’inflazione che abbiano anche dinamiche gestionali innovative e tutto sommato stiamo reggendo bene anche in questa fase. Quanto alla crescita dei corsi delle materie prime, va
considerato che verranno consumate più o meno come prima: si tratta, perciò, di aspettare che questa guerra e le conseguenti spinte speculative subiscano un arretramento. Nel medio-lungo termine non è che il mondo impiegherà più materie prime rispetto al passato o che ne produrrà di meno, bisognerà solo aspettare di riorganizzarci meglio rispetto a prima: i paesi occidentali, da una parte, e i paesi produttori, dall’altra, troveranno un nuovo equilibrio. Comunque, i nostri investimenti non sono mai stati rivolti verso la Russia e sono stati abbastanza secondari anche quelli verso la Cina. Pensiamo che il futuro vada
verso una globalizzazione diversa: ci sarà oltre alla globalizzazione dei mercati, anche una globalizzazione dei valori e delle coscienze, cioè sarà più facile lavorare fra paesi che condividano in linea di massima gli stessi valori. Non c’è un valore con la V maiuscola che debba andare bene per chiunque: è “semplicemente” un problema di condivisione. Poi si andrà con passi relativamente lunghi verso la globalizzazione dell’energia. Quella rinnovabile, soprattutto se fatta in casa, creerà maggiore valore aggiunto all’interno del proprio paese, recuperando moltissimo in termini di Pil: si va verso il km 0 dell’energia e questo auspicabilmente è un percorso irreversibile».
Sostanzialmente la vostra posizione è che alla fin fine si arriverà naturalmente a un equilibrio, a una stabilità. Vale anche per l’Italia?
«Sì, e anche in tempi veloci. Per l’Italia vedo diversi fattori positivi. Avremo un’economia più stabile in Europa e anche a livello italiano: il nostro Paese va verso una minore dipendenza dall’estero grazie all’energia rinnovabile. Ci vorranno anni, ma neppure tantissimi, e la nostra cultura di fare fabbrica, di fare innovazione porterà verso un aumento del Pil che abbatterà di fatto l’incidenza percentuale del debito pubblico italiano. Grossi problemi fiscali non ne vedo, perché il Pnrr va e andrà avanti. Certe riforme che devono essere realizzate verranno fatte. Cito, ad esempio, la giustizia, il cui cambiamento è nelle cose e seppure con difficoltà si sta per compiere. Quindi, le grandi riforme alle quali siamo chiamati le stiamo facendo e rispetteremo i termini. Teniamo poi conto che noi italiani siamo abilissimi nell’autoflagellarci, però siamo pur sempre una delle più importanti realtà manifatturiere del mondo. Da questo punto di vista, c’è motivo per essere cautamente ottimisti. Inoltre i nostri prezzi azionari sono molto bassi: ci sono diverse società italiane che hanno un valore di borsa che è la metà di quanto viene valorizzato in Francia o in Germania per lo stessa tipologia di azienda con gli stessi fondamentali. Abbiamo perciò buone armi per migliorare in Italia».
Però siamo in una situazione drammatica in tutta Europa.
«Guardando oltre la contingenza, la pace prima o poi ci sarà e sarà una buona pace per gli europei, forse anche per gli ucraini. Mi dispiace per la Russia che ha perso il treno dell’Europa, almeno per i prossimi decenni. Io, però, non
attribuisco grande importanza alla Russia. La grande sfida delle materie prime l’hanno persa. Comunque, per quanto riguarda il Vecchio continente, abbiamo la possibilità di vincere l’inflazione grazie all’aumento del Pil. Non sarà una crescita come tutti avremmo voluto e ci saremmo aspettati, ma è altrettanto vero che ci troviamo di fronte a una grande quantità di opportunità di medio termine».
In ogni caso non è facile affrontare la situazione attuale.
«Se tu riesci a mediare durante i ribassi, a non fare vendere l’investitore magari anche con un portafoglio meno efficiente, alla fine il cliente vince la sfida di medio termine. È vero che occorre avere un portafoglio efficiente, ma è anche altrettanto vero che serve un consulente efficiente. Se il consulente segue la tendenza e ti fa investire nei rialzi e liquidare nei ribassi, anche con i migliori prodotti del mondo i tuoi investimenti non porteranno tante soddisfazioni».
Voi avete puntato molto sulla consulenza a parcella, che doveva partire all’inizio di quest’anno. Come sta andando?
«Sta dando i primi importanti risultati. La consulenza a parcella e soprattutto l’analisi di portafoglio sono un prodotto difficile da collocare e noi usiamo metodologie scientificamente avanzate in questo campo, elaborate dal professor Emanuele Maria Carluccio, ma è altrettanto chiaro che vendere l’efficienza di portafoglio è un discorso nuovo. Ciò che di solito viene fatto è utilizzare una sorta di analisi di portafoglio per raccogliere nuove masse e ciò fa perdere credibilità all’offerta e non è facile
muoversi in controtendenza mantenendo la propria onestà intellettuale. Questo tipo di consulenza richiede efficienza, richiede lavoro. Quindi consulenza a parcella sì, ma anche ancoraggio forte alla nostra tradizione di essere una società che fa il multibrand da sempre. Se dovessimo vivere solo di consulenza a parcella non ci riusciremmo. Il fatturato grosso viene dalla tradizionale consulenza evoluta, cioè collocare i prodotti di terzi, che nel nostro catalogo sono migliaia. Comunque, nel multibrand bisogna stare attenti, perché anche se hai ottimi prodotti, è necessario per costruire un portafoglio fare emergere le vere esigenze del cliente e fargliele condividere».
Il vostro modello, che prevede la totale indipendenza, è attrattivo per il mercato dei consulenti? Il trend di entrata di nuovi professionisti è in crescita?
«Stiamo andando avanti come sempre, ovviamente crescendo. Siamo partiti da zero e abbiamo quasi 719 milioni in portafoglio.
La società che abbiamo voluto fondare e costruire ha mantenuto le sue promesse: ha infatti garantito stabilità. Non credo, infatti, che nel nostro mondo vi siano altri esempi di aziende che per un periodo così lungo non abbiano mai cambiato contratti, azionisti, modelli o gruppi di appartenenza, per non parlare poi di “campagne commerciali” più o meno aggressive a seconda dei periodi. Ma, soprattutto, non abbiamo mai abbandonato la peculiarità di essere una società di persone e non di numeri, facendo della trasparenza e del confronto interno, franco e talvolta persino ruvido, i nostri valori fondanti più significativi. Il fatto di avere consulenti che hanno cominciato 10 anni fa e che oggi hanno un portafoglio di 15-20 milioni di euro, rende il discorso molto attrattivo. E in quest’ottica noi offriamo una grande stabilità. In sintesi, crescere sì, ma senza snaturarci. Del resto, veniamo tutti da società dalle quali siamo usciti. Io, come gli altri colleghi e colleghe di Copernico, non sono un consulente che deve fare un dato risultato, se no l’azionista di maggioranza gli dà il benservito».
Voi sarete presenti al Salone del risparmio. Che cosa volete comunicare?
«Sempre di più la consulenza va fatta come si deve e stare dalla parte del cliente paga. I consulenti non devono avere paura. Tanti
portafogli sono vincolati, tanti consulenti che prendono premi all’entrata, se escono, devono pagare delle penali alle aziende. Occorre liberarsi di questi fardelli e sposare il futuro con coraggio».