Turchia: mediazione in un conflitto complicato. L'analisi di Thomas Candolo, Ufficio Studi di Copernico SIM.
Osservando la carta geografica dell’Asia minore è possibile percepire quanto sia strategico il ruolo della Turchia: luogo di incontro tra Occidente e Oriente, Europa e Asia, Cristianità e Islam. Il Paese della mezzaluna rossa è circondato da aree di crisi e conflitti (Siria, Iraq), che purtroppo recentemente hanno coinvolto anche un partner importante: l’Ucraina che costituisce un argine all’influenza e alla pressione russa nella regione del Mar Nero. In quest’ottica non sorprende che la Turchia, desiderosa di calmierare la sudditanza della Federazione Russa sulla penisola Anatolica, abbia optato per non riconoscere l’annessione russa della Crimea nel 2014; grazie a questa strategia la Turchia ha potuto tessere interessanti relazioni commerciali e partnership con lo stato ucraino.
Dal 2020 Ankara è divenuto il primo investitore straniero in Ucraina, concentrando il proprio business nella telefonia, nelle infrastrutture, nella logistica e nella difesa. Per portare un esempio Turckell, primo operatore di telefonia mobile in Turchia, possiede la terza compagnia telefonica dell’Ucraina (Lifecell) mentre le imprese di costruzione turche hanno realizzato progetti ad altissima valenza geopolitica. Tra questi progetti spicca la costruzione dell’autostrada Kiev-Odessa realizzata dal gruppo Onur, progetto cardine per la prosecuzione verso nord della via della seta attraverso il mar Nero e una importante partnership nel settore della difesa. Nello specifico, nel 2019, Kiev ha acquistato dodici droni da combattimento Bayraktar Tb2 e recentemente, ha manifestato l’intenzione di acquistarne altri ventiquattro (fonte: Daily Sabah). Inoltre, Stm (STM Savunma Teknolojileri Mühendislik ve Ticaret A.Ş. società di ingegneria navale turca) e Okean Shipyard (cantiere navale ucraino), prima dello scoppio del conflitto, collaboravano per la costruzione di quattro navi corvette proprio per la marina ucraina. L’apice della partnership turco-Ucraino è stato raggiunto il 3 febbraio quando Erdogan, a Kiev, oltre a finalizzare l’accordo di libero scambio tra i due Paesi, ha stretto una collaborazione per la coproduzione in Ucraina di una variante del drone Bayraktar.
Per perorare la causa ucraina ma al contempo evitare che il conflitto tra Russia e Ucraina degeneri ulteriormente, Erdogan ha applicato la Convenzione di Montreux che dal 1936 regolamenta il regime degli stretti in Turchia. In base alla Convenzione, le navi militari degli Stati belligeranti non possono passare attraverso lo stretto del Bosforo e dei Dardanelli in tempo di guerra, fermo restando il loro diritto di transito per ritornare alle basi nel Mar Nero. Una mossa dovuta quella di Ankara che, sebbene abbia votato in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a favore della risoluzione di condanna dell’invasione russa, si trova costretta a un difficile esercizio di bilanciamento tra interessi e partner diversi. Un complesso equilibrio non solo tra Mosca e Kiev ma anche nei confronti degli alleati della NATO.
Tali situazioni illustrano efficacemente l’approccio multidimensionale della Turchia nel conflitto ucraino; vi è infatti una sottile ambiguità da parte di Ankara che è costretta, per evitare di inimicarsi qualcuno (Russia, Nato e Ucraina), ad esibire un attivismo diplomatico e pertanto a svolgere il ruolo di mediatore.
Per la Turchia è essenziale non provocare Vladimir Putin dal quale dipende, soprattutto nel settore energetico. Ankara soddisfa quasi interamente il proprio fabbisogno energetico dalla Russia, da cui importa circa il 33 percento di gas e fra il 10 e il 30 percento di petrolio. A livello commerciale ed economico, esiste un forte squilibrio fra import russi verso la Turchia ed export turchi in direzione Russia, nell’ordine di 29 contro 6 miliardi dollari (fonte: ISPI). Dalla Russia, inoltre, arriva in Turchia circa il 56 percento delle importazioni di grano. Anche il turismo è un settore consistente, con circa il 20 percento di tutti i turisti in arrivo in Turchia provenienti dalla Russia.
Ankara e Mosca collaborano anche a livello militare, tuttavia il settore difesa è l’ambito più problematico, in quanto difficilmente compatibile a lungo termine con l’appartenenza NATO della Turchia. A causa dell’acquisto del sistema di difesa missilistico russo S-400 per un valore di 2.5 miliardi di dollari, Ankara è stata estromessa dal programma di sviluppo F-35 degli Alleati, oltre a subire pesanti sanzioni da parte di Washington secondo il CAATSA (Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act).
La Turchia, pertanto, si trova dinanzi a un dilemma infernale: sfuggire dalla morsa della Russia rifugiandosi nel grembo della superpotenza americana, rinunciando così all’agognata semi-autonomia strategica in Eurasia, o cedere alle sirene russe, con il rischio di perdere lo scudo americano e dunque esporsi ai possibili soprusi di Mosca nel medio periodo?
La Turchia ha quindi molto da perdere dal conflitto fra Kyiv e Mosca, fra interessi strategici, sicurezza del proprio vicinato settentrionale e l’equilibrio di forze nel Mar Nero. È una situazione che sta diventando sempre più ostica, anche alla luce di un’economia turca sfiancata in cui l’inflazione è aumentata esponenzialmente negli ultimi mesi, attestandosi al 54,44 % a febbraio (il valore più alto degli ultimi vent’anni, era al 15,61% a febbraio 2021), e la moneta, la lira turca, che nell’ultimo anno ha perso il 44% del suo valore rispetto al dollaro. In particolare, un significativo rialzo dei prezzi al consumo si è registrato nei trasporti (+75,75%), e nei generi alimentari e bevande non alcoliche (+64,47%), andando a intaccare ulteriormente il potere d’acquisto di ampie fasce della popolazione soprattutto quelle con redditi più bassi. Tutto ciò contribuirà ad accresce il malcontento nella popolazione a causa del deterioramento del quadro macroeconomico turco con possibili ripercussioni negative sulla leadership di Erdogan che sarà chiamato ad un appuntamento molto importante a breve: quello delle elezioni nel 2023.