La lotta atavica tra Cina e India per la supremazia dell’Asia
Secondo i dati pubblicati dall’ufficio nazionale di statistica di Pechino il 2022 è stato un anno di svolta per la Cina: le morti registrate hanno superato le nascite per la prima volta in sei decenni. Si tratta di un’inversione di tendenza rilevante rispetto a una crescita demografica inarrestata dall’inizio degli anni ’60 quando il Paese fu devastato da una terribile carestia. Nel corso dell’ultimo anno il numero di nascite in Cina è infatti sceso da 10,62 a 9,56 milioni di unità. Il tasso di natalità cinese nello stesso periodo è passato da 7,52 a 6,77 nascite per mille persone.
Ma se il 2022 rischia di passare alla storia come un anno di svolta per la demografia cinese, il 2023 potrebbe essere lo spartiacque per un cambio epocale mondiale che si procrastinerà nei prossimi decenni: Il Paese che soffierà il primato alla nazione più popolosa al mondo sarà l’India. Secondo le stime Onu, nel 2023 la Cina supererà di poco le dieci milioni di nascite a fronte delle ventitré milioni dell’India e grazie a tale tasso di crescita tra dieci anni la popolazione indiana supererà quella cinese, sebbene ad oggi gli indicatori di salute pubblica si rivelino ancora molto bassi e il livello di istruzione risulti più vicino ai Paesi ancora in via di sviluppo. Ancora, secondo le stime della Banca mondiale tra il 2020 e il 2040 la popolazione indiana in età lavorativa aumenterà di 134,6 milioni di unità raggiungendo, nel 2036, una quota sulla popolazione del 65% e contribuendo, da qui al 2050, a un sesto dell’incremento a livello globale.
Nelle ultime due generazioni invece la Cina ha visto un collasso della prolificità, esacerbato dalla politica governativa di controllo serrato delle nascite, dato che nel 1979 è stata introdotta la politica dell’unico figlio (con conseguenti crudeli pratiche per garantirsi un erede maschio), politica rimossa solo nel 2015. La dura politica di contenimento delle nascite ha portato la popolazione totale sotto il livello di sostituzione com’è possibile immaginare nel futuro prossimo mancheranno giovani da introdurre nel tessuto produttivo; con decenni di bassissima fecondità alle spalle, altri davanti a sé e un flusso di immigrazione ad ora irrilevante, la Cina vedrà la sua popolazione raggiungere un picco intorno al 2027 (proiezioni dello US Census Bureau) per poi iniziare una diminuzione piuttosto marcata.
Nei prossimi vent’anni il numero di cinesi sopra i 65 anni aumenterà dagli odierni 135 milioni a 325 milioni e a quel punto gli anziani saranno il doppio dei giovani sotto i quindici anni. Nel complesso questa situazione costituirà una vera zavorra previdenziale per l’economia cinese che dovrà affrontare il problema della senescenza della popolazione, tipica dei paesi avanzati, senza tuttavia poter vantare una prosperità economica pari a quella dei paesi occidentali.
Il governo dovrà investire fortemente sulla cura degli anziani, sul sistema sanitario e nel sistema pensionistico, aumentando il debito pubblico.
Ma le dinamiche demografiche produrranno realmente delle ripercussioni economico-geopolitiche in Asia e nell’intero mondo?
Dal punto di vista economico, il Dragone vanta un’economia circa sei volte più grande rispetto a quella di Nuova Delhi, ma la crescente popolazione indiana dovrebbe aiutare l’Elefante a recuperare il ritardo sulla Cina e fornire una spinta per lo sviluppo esplosivo di questa nazione.
Sempre sul fronte economico, il rallentamento è già evidente oggi. Nel 2022 la Cina è cresciuta del tre per cento, il livello più basso degli ultimi quattro decenni, e nell’ultimo trimestre la crescita è stata del 2,9 per cento. Sono lontani i tempi della crescita a doppia cifra e la politica zero Covid, che fino all’inizio di quest’anno ha bloccato le attività economiche, ha avuto un impatto devastante rispetto al fattore crescita.
L’altra potenza Asiatica ovvero l’India si trova attualmente in una posizione migliore: secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale, Nuova Delhi nel 2022 ha consolidato un rialzo prossimo al 7% e nei sette anni successivi all’elezione di Modi, avvenuta nel 2014, il Pil è cresciuto del 40%.
Solo dieci anni fa l’economia indiana era l’undicesima in termini di valore del Pil, e il fatto che adesso è diventata la quinta economia globale la dice lunga sugli effetti positivi delle politiche economiche adottate dal governo indiano che, iniziate negli anni Novanta, hanno permesso a questo gigante asiatico di crescere.
Secondo stime fatte dalla State Bank of India se i tassi di crescita rimarranno invariati anche nei prossimi anni, nel 2029 l’India potrebbe diventare la terza economia globale dopo USA e Cina.
Ovviamente l’India, se vorrà mantenere questi ritmi di crescita dovrà affrontare una serie di riforme strutturali nel medio e lungo termine, al fine di aumentare il reddito pro capite (attualmente a livelli ben al di sotto di quelli cinesi) e creare condizioni favorevoli per attrarre sempre più capitali dall’estero, cosa che per altro ha già iniziato a fare.
Ricordiamo che il colosso taiwanese Foxconn (partner strategico di Apple) non investirà più in Cina, bensì in India: l’azienda di componenti elettrici più grandi al mondo impiegherà più di un 1 miliardo di dollari (quadruplicando la sua forza lavoro) per ampliare la fabbrica di I-Phone nello stato di Tamil Nadu.
L’azienda capitanata da Tim Cook non è l’unica che sta scommettendo sul subcontinente indiano: Foxconn collabora anche con Xiaomi e Samsung.
Dal punto di vista geopolitico, i legami dell’India con l’occidente sono cresciuti, anche se l’India continua a mantenere viva la sua partnership con players internazionali scomodi, una su tutte la Russia. Una semplice spiegazione per un simile comportamento è che l’India abbia tutto l’interesse di evitare che l’asse Cina-Russia diventi un’alleanza forte e dunque scomoda in termini sia economici sia bellici e che questa alleanza porti influenze eccessive sui Paesi limitrofi, uno su tutti il Pakistan.
Il Pakistan ha una lunga storia di stretti rapporti con la Repubblica Popolare, intensificati dopo la dichiarazione d’indipendenza concessa nel 1947 a seguito della caduta dell’impero anglo-indiano. È stato tra i primi Paesi ad aderire al Bri (Belt and Road initiative), e al China-Pakistan Economic Corridor (Cpec); un programma che ammonta a 62 miliardi di dollari, secondo il Times of India, e comprende una serie di investimenti cinesi in strade, porti, linee ferroviarie, fibre ottiche, progetti energetici, cooperazione industriale e agricole.
Ma il vero scopo di Pechino è quello di porre le basi strategiche nella città portuale di Gwadar, al fine di creare un proprio sbocco sull’Oceano Indiano; area geografica di vitale importanza per la rotta marittima della Via della Seta, vista la vicinanza con lo Stretto di Hormuz e conseguente accesso al Mediterraneo.
Visti i rapporti piuttosto tesi con la Cina, Nuova Delhi si è rifiutata di entrare a far parte dell’accordo Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), accordo economico-commerciale firmato da dieci Paesi dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, il cui fine principale è quello di raggiungere uno sviluppo economico asiatico comune dato che l’economia cumulata di questi paesi al momento vale il 25% del Pil mondiale.